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La Repubblica, Milano, March 28, 2000


[In which veteran Marxist Eric Hobsbawm seemingly joins the revisionists]

 

 

Quando la politica accieca gli storici

LE IDEE

di ERIC J. HOBSBAWM

 

POCHI giorni fa un caso legale molto importante si è concluso in una Corte britannica. David Irving, autore di numerosi libri sulla Seconda guerra mondiale e sul Nazional-Socialismo, ha citato per diffamazione un altro autore, la accademica americana Deborah Lipstadt, e il suo editore, Penguin Books.

Irving sostiene che, definendolo un bugiardo e un "negatore dell'Olocausto", la professoressa Lipstadt e il suo editore hanno recato danno alla sua credibilità di storico, e di conseguenza alle sue possibilità di guadagnarsi da vivere. Irving non solo ha respinto le accuse rivoltegli, ma ha sostenuto che la versione delle origini, della natura e delle dimensioni della cosiddetta "soluzione finale del problema ebreo", avanzata dalla professoressa Lipstadt e da altri esponenti di quella che lui chiama "l'industria dell'Olocausto", è storicamente insostenibile.

A differenza del suo lavoro, essa infatti non è basata su documenti originali, e nemmeno su una conoscenza adeguata di come funzionava il sistema tedesco. Questa è stata la questione discussa per molte settimane in un' aula di giustizia londinese. Il giudice non si è ancora espresso, e naturalmente pronuncerà il suo verdetto su due interrogativi che sono separabili, almeno per la legge britannica, e cioè:

  1. se le dichiarazioni della professoressa Lipstadt hanno diffamato il signor Irving e
  2. se anche lo hanno fatto, qual è l'entità del danno da lui sofferto come risultato di tale diffamazione.

La seconda domanda non ci interessa qui, ma la prima era, ed è, questione di fondamentale importanza per gli storici. Essa riguarda la complessa relazione tra l'indagine storica e l'opinione politica, tra il giudizio storico e quello politico. Perché questa non è una controversia di pura erudizione, né per il signor Irving né per la professoressa Lipstadt e per coloro che condividono le sue opinioni. Al contrario, entrambi sono appassionatamente impegnati a sostenere i loro rispettivi punti di vista su basi non accademiche.

LipstadtSi dà il caso che davvero pochi storici condividano le opinioni politiche rappresentate da David Irving. Egli non fa alcuno sforzo per nascondere le sue simpatie per il Nazional-Socialismo tedesco, per la destra estrema del dopoguerra, e il suo antisemitismo. D'altra parte, istintivamente, molti di noi sono dalla parte di Deborah Lipstadt perché è impossibile non provare orrore per quello che accadde agli ebrei ad Auschwitz e altrove. Ecco perché è necessario tentare, da parte dei simpatizzanti nazisti, di negare addirittura che sia mai accaduto.

Nondimeno, è chiaro che anche le opinioni della Lipstadt rappresentano una posizione politica appassionatamente difesa, al punto tale che coloro che la sostengono sono pronti anche a negare le critiche fattuali. David Irving ha citato in tribunale i suoi critici; ma Daniel Jonah Goldhagen, che ha scritto un'interpretazione ebrea dell'Olocausto quasi unanimemente respinta dagli storici della materia, Hitler's Willing Executioners, ha tentato di mettere a tacere i suoi critici e così hanno fatto i suoi sostenitori. È significativo che lo stesso storico, Christopher Browning, sia stato citato dalla difesa sia nel caso Irving che nella controversia su Goldhagen.

Si dà il caso che, molto tempo prima del processo Irving-Lipstadt, io abbia tentato di spiegarne la natura. Permettetemi un'autocitazione: dove mancano le prove o dove i dati sono pochi, contraddittori e indiziari, non si è in grado di smentire un'ipotesi, per quanto improbabile. Le prove possono mostrare in maniera conclusiva, contro coloro che lo negano, che il genocidio nazista è davvero accaduto, ma benché nessuno storico serio dubiti che la "soluzione finale" fosse voluta da Hitler, non possiamo dimostrare che egli abbia davvero dato un ordine specifico in tal senso.

Dato il modo di operare di Hitler, un tale ordine scritto è improbabile, e non è stato trovato da nessuno. Quindi, benché non sia difficile smontare la tesi di M. Faurisson, non possiamo, senza elaborati argomenti, respingere la tesi avanzata da David Irving. Questa è l'essenza del problema. Sarebbe stato più comodo se Irving potesse essere accusato semplicemente di negare Auschwitz o di mentire su Hitler. Ma egli non lo ha fatto. Ha sostenuto che Hitler non voleva, o non era responsabile per l'Olocausto, perché non c'è documento scritto da Hitler che ordini l'eliminazione fisica degli ebrei, e le argomentazioni di Irving, fondate su una rimarchevole conoscenza della documentazione, hanno costretto la gran parte degli storici a riconoscere, seppure con riluttanza, che non esiste un tale documento.

Con ottime ragioni, il consenso prevalente tra gli storici individua in Hitler il responsabile della "soluzione finale", ma l'argomentazione di Irving ha modificato l'interpretazione storica del Terzo Reich. Ancora: Irving non nega che milioni di ebrei perirono tra il 1941 e il '45. Non nega nemmeno che un vasto numero di ebrei fu deliberatamente sterminato, e non solo ucciso dalla fatica, dalla fame, o dalle malattie. Piuttosto, egli si concentra nel sollevare il dubbio su molte delle "idees recues" circa l'Olocausto - ciò che potremmo chiamare la retorica pubblica o la versione hollywoodiana dell'Olocausto, la gran parte della quale non proviene dagli storici seri che hanno indagato questo terribile soggetto.

E anzi alcuni di loro, come ogni specialista del campo sa, hanno un atteggiamento di apertura verso le critiche. Ci si potrebbe chiedere: qual è la rilevanza del caso giudiziario "Irving contro Lipstadt" per gli storici? Nessuno dei protagonisti è un tipico esponente della professione storica. Il signor Irving è un crociato della sua causa. Se non fosse identificato con la causa della Germania hitleriana, le famiglie delle personalità naziste non gli avrebbero dato accesso ai documenti che avevano precedentemente negato ad altri studiosi, o che avevano loro nascosto.

Questo è il modo in cui è diventato un esperto della materia. La signora Lipstadt non è di professione una storica, e la sua reputazione nel campo è modesta. Non si può fare a meno di notare che ha scelto di non testimoniare al processo e di non esporsi all'interrogatorio della controparte. In effetti, molti dei nomi importanti nella storiografia sul Terzo Reich e sulla distruzione degli ebrei europei sono stati assenti dal caso. È improbabile, ovviamente, che avrebbero sostenuto Irving, ma è anche improbabile che avrebbero accettato l'eccessiva semplificazione del libro della Lipstadt. Eppure, la loro assenza o reticenza è preoccupante.

Non si può lasciare che il dibattito pubblico su materie di così grande importanza si sviluppi essenzialmente tra sostenitori di cause politiche. Io penso che il silenzio degli studiosi esprime le passioni e le contraddizioni che assillano gli storici che hanno a che fare con soggetti sui quali per molti di noi la neutralità è ancora impossibile oggi, al momento in cui scriviamo. Ciò non può essere più evidente che nel caso del regime o dei regimi che produssero l'Olocausto.

Consentitemi di ripetere ciò che scrissi in un'altra occasione a proposito dell'"Historikerstreit" tedesco del 1980: "La polemica riguardava la questione se un qualsiasi atteggiamento storico nei confronti della Germania nazista che non fosse di assoluta condanna non comportasse il rischio di riabilitare un sistema profondamente infame, o almeno di mitigare le nefandezze... la forza di simile metodo è tale che, mentre esprimo questi concetti, con un po' di disagio mi rendo conto che potrebbero essere interpretati come il segno di una certa "morbidezza verso il nazismo" e quindi si rende necessaria una qualche forma di rifiuto" (De Historia, 275-6).

Questi sentimenti restano forti oggi, e possono anche essere riattizzati dal ritorno alla vita pubblica, talvolta anche al governo, di politici e partiti identificati con, o discendenti da, il passato nazista, come è accaduto di recente in Austria. Il caso "Irving contro Lipstadt" riguarda la più emotiva di tutte queste questioni, la cosiddetta "negazione dell'Olocausto". Eppure, questa stessa frase appartiene a un'era in cui la condanna morale ha rimpiazzato la storia. Proprio come il dibattito, se tale può essere chiamato, sul quale una corte britannica è chiamata a decidere. Esso appartiene alla sfera della partigianeria politica. Qualsiasi siano le incertezze che circondano questo soggetto, non è possibile, e non lo è mai stato, negare l'evidenza del genocidio degli ebrei (e degli zingari) perpetrato, finché ne fu in grado, dalla Germania nazista.

Zyklon BNessuno storico che sia tale avrebbe mai ritenuto necessario di impedire la pubblicazione di tentativi evidentemente vani di negare l'innegabile, o di creare un reato di "negazione dell'Olocausto", come è avvenuto in Germania. D'altra parte, nessun serio storico negherebbe che ci sono lacune o incertezze - circa fatti, numeri, luoghi, motivi, procedure e molto altro ancora - che circondano la storia del genocidio. Lo studioso serio del soggetto, dunque, tratta il genocidio come un campo di studio in cui disaccordo e discussione, anche circa i più indicibili aspetti - per esempio il numero delle vittime, o la natura e l'estensione dell'uso del gas Zyklon B - sono naturali e indispensabili.

Non può ridurre la sua funzione essenzialmente alla denuncia, o alla definizione e alla difesa di una versione accettata della verità. Eppure è proprio questo il pericolo in alcune letture dell'olocausto appassionatamente sostenute, specialmente quelle versioni che hanno, a partire dagli anni '60, sempre più trasformato la tragedia del popolo ebreo dell'Europa continentale durante la Seconda guerra mondiale nel mito legittimante per lo stato di Israele e la sua politica. Come ogni mito legittimante, esse trovano la realtà scomoda. Di più, ogni critica del mito (o delle politiche da esso legittimate) è destinata ad essere bollata come qualcosa di simile alla "negazione dell'Olocausto".

Gli storici seri del Terzo Reich, che sono di un' inusuale altra qualità, hanno poco tempo sia per Irving che per la Lipstadt. Non c'è mai stato alcun dubbio sul fatto che essi respingono il tentativo di Irving di distanziare Hitler dalla "soluzione finale", o il tentativo nazista di minimizzare o mitigare, per non dire negare, il genocidio. D'altra parte, come la loro quasi unanime reazione alla pubblicazione del libro di Daniel Goldhagen dimostra, essi hanno anche respinto quella che Ian Kershaw chiama "una semplicistica e fuorviante interpretazione dell'Olocausto". Eppure, quando gli avvocati degli assassini affrontano gli avvocati delle vittime, come è difficile, anche dopo più di mezzo secolo, condannare equamente gli errori di entrambi, seppure per differenti ragioni.

Il silenzio è più facile. Chiaramente, alcuni hanno scelto questa strada. Sono nel giusto? O avevano ragione quei pochi studiosi che hanno deciso di accettare l'invito della difesa, soprattutto per screditare le affermazioni di Irving, sebbene indubbiamente consapevoli delle carenze della Lipstadt? Tali domande non possono trovare risposta finché tutti gli atti del processo non saranno pubblicati. Diventeranno certamente la base di uno o più libri.

Nel frattempo, la reticenza dei buoni storici ha lasciato l'impressione che l'unica critica pubblica della carenza di standard professionali in gran parte della volgarizzazione dell'Olocausto viene da un ammiratore di Hitler. In ogni caso, queste sono questioni che chiamano in causa un giudizio politico, che può essere in conflitto con il giudizio storico. Questo è il tema sul quale voglio attirare la vostra attenzione. La professione dello storico è inevitabilmente, e alcuni direbbero per sua stessa natura, politica e ideologica, sebbene ciò che uno storico dice o non può dire dipende strettamente da regole e convenzioni che richiedono prove ed argomenti.

Eppure essa convive con un discorso apparentemente simile circa il passato nel quale queste regole e convenzioni non si applicano; e dove si applicano anzi soltanto le convenzioni della passione, della retorica, del calcolo politico e della partigianeria. Ma noi siamo alla fine di un secolo di guerre religiose durante il quale è stato normale per gli storici ritenere di dover giudicare sia in base ai criteri della loro professione che in base a quelli della propria fede. Il caso che ho discusso è tipico di un tale periodo. E non è l'unico. Le passioni di questa era si sono affievolite, ma non sono ancora scomparse.

Come dovrebbero comportarsi gli storici? Le regole della nostra professione dovrebbero inibirci dal dire ciò che sappiamo o fortemente sospettiamo sia sbagliato, ma la tentazione di trattenersi dal dire ciò che sappiamo essere giusto rimane molto più grande. Anche coloro che non prenderebbero mai in considerazione la "suggestio falsi", possono trovarsi a scivolare lungo il pendio che porta alla "suppressio veri". Non c'è alcuna possibilità che tra cinquanta o anche tra cento anni la memoria dell'Olocausto possa morire, ma questo non sarà dovuto in nessun modo al caso che io ho discusso in questa lezione.

Davvero spero che gli storici che si imbatteranno nel caso "Irving contro Lipstadt" nelle loro ricerche lo considereranno come una esibizione proveniente da un museo di antichità intellettuali da tempo dimenticate. Ma per gli storici di oggi, esso ancora solleva seri problemi di giudizio professionale e morale. Abbiamo ancora un po' di strada da fare prima di emanciparci dall'eredità intellettuale dell'era delle guerre di religione che ha dominato il secolo Ventesimo. Forse dovremmo tentare di accelerare la nostra emancipazione.


Gad Lerner: Il Paese de Balocchi


March 28, 2000

 

For further Italian articles, not posted here, see

"La Stampa" (March 28 2000); "Il Giornale" (March 29, pag 33); and "Corriere della Sera" (March 29, pag 35)

Website fact: The stamina of the defence team is aided by a six million dollar fund provided by the American Jewish Committee, which enables them to pay 21 lawyers and "experts"; the experts like Evans, Longerich, etc. earn £750 (DM2500) per day (while the defence's star legal team is paid considerably more). Nobody is paying for Mr Irving, who has been fighting this battle for three whole years. [Help!]

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